(Pubblicato su iNternazionale.it il 17/10/2019)

Che ci faceva la maschera di Joker sulla faccia di Beppe Grillo la sera del decimo compleanno del Movimento 5 Stelle? In che rapporto sta quella maschera con il discorso “visionario” e spiazzante che il fondatore ha recitato per rinverdire la sua aura al cospetto dei dirigenti e dei militanti disorientati dalla loro mutazione genetica? Grillo, almeno questo dovremmo averlo capito, è uno che i simboli, le allusioni, gli oggetti dell’immaginario non li sceglie a caso. Dunque non basta dire, come ha pur giustamente fatto Massimiliano Panarari su La Stampa, che il travestimento sfoggiato sul palco di Napoli è l’ennesima conferma della politica-spettacolo incarnata dal leader pentastellato, della bizzarra creatura metà comico-metà capo carismatico da lui messa al mondo, della sua astuzia di presentarsi al suo “popolo” con il volto del personaggio del momento, e infine del dilagare della cultura pop nel discorso politico. Tutto questo sarà pure vero, ma non spiega il perché di quella maschera in questo momento, e temo che non ne colga il messaggio.

Joker, il film di Todd Phillips interpretato da Joaquin Phoenix, sbanca il botteghino in Italia e negli Usa, e in Italia e negli Usa divide, in modi non banali, critica e pubblico. Il protagonista è un marginale che diventa un’icona di identificazione popolare, un ex-bambino maltrattato che diventa un criminale efferato, un “penultimo”, come si direbbe oggi, abbandonato dal welfare in via di demolizione che diventa suo malgrado un simbolo di riscatto sociale, e soprattutto un disadattato che obbedisce al comandamento materno e sociale di ridere di ciò di cui dovrebbe piangere, di coprire con il sorriso del clown le ragioni del suo disagio mentale e sociale, finché quel sorriso obbligatorio non diventa un ghigno armato e violento.

Il film può piacere o non piacere – a me, per quello che vale, non è piaciuto -, suscitare entusiasmo o rigetto, ma certamente gli va riconosciuto il merito di tentare di mettere a tema – ma a mio avviso non a fuoco – i tratti più angosciosi di alcune derive comuni delle democrazie contemporanee, retrodatandone giustamente l’origine agli anni 80 del neoliberismo montante: non solo e non tanto il rapporto fra vulnerabilità individuale e emarginazione sociale, con la seconda che si accanisce sulla prima e la raddoppia, quanto piuttosto il confine sempre più labile e poroso fra psicosi individuale e psicosi collettiva, e l’immediatezza automatica delle dinamiche di identificazione in un leader immaginario in una società priva di mediazioni istituzionali e simboliche efficaci e condivise. L’involontaria capriola di Joker da scarto sociale a simbolo acclamato dalla folla in rivolta è da questo punto di vista l’elemento più interessante e inquietante – ancorché a mio avviso poco elaborato – che il film mette sul tavolo. Tanto più sul tavolo del pubblico italiano, che sul rapporto fra disperazione sociale, comicità esibita e identificazioni popolar-populiste è o dovrebbe essere alquanto avvertito.

La favola insomma parla di noi. Parla di un disagio individuale e sociale inespresso e soffocato dall’ingiunzione a riderci sopra, che da un momento all’altro può esplodere in episodi di rivolta violenti e irriducibili alle forme classiche del conflitto sociale organizzato. Parla del legame populista tanto insondabile quanto potente fra folle di individui solitari e leader mascherati che non li rappresentano, ma piuttosto si presentano loro con una maschera, o meglio con un trucco, in cui identificarsi, un trucco che è tanto più efficace quanto più copre l’effettiva impotenza del leader in questione. Parla dunque anche di Beppe Grillo e della sua parabola di comico-leader, o meglio di leader in quanto comico.

Grillo lo sa, e indossando la maschera di Joker fa qualcosa di più che approfittare dell’ultimo prodotto vincente dell’industria dell’immaginario: si riappropria di un marchio, e lo rilancia. Siamo in tempi di caos, e “io sono il caos”, urla sul palco di Napoli il Grillo-Joker, al contempo archiviando come ormai irrilevante l’infanzia antipolitica del suo movimento e mettendolo alla prova di sfide globali spiazzanti, a cominciare da quella sulla gestione politica della questione ecologica. Il trucco del clown che ride per disperazione gli sembra ancora adotto a queste sfide. Ma lo è davvero? Grillo stesso ha sempre rivendicato che grazie a quel trucco il Movimento 5 stelle ha incanalato – ma da un altro punto di vista si potrebbe sostenere che ha piuttosto addomesticato – un disagio sociale che avrebbe potuto esprimersi in forme ben più radicali e violente. Il film di Todd Phillips ci fa presente che quella stessa maschera, però, può servire non a contenerle ma a moltiplicarle e farle esplodere. Quando il confine fra paranoia individuale e paranoia sociale si fa indistinguibile, quando tutti diventano Joker, alla fine c’è poco, pochissimo da ridere .

Informazioni su Ida Dominijanni

Giornalista e ricercatrice indipendente
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