L’eclissi dell’ordine del padre è la cornice simbolica in cui in tanti ci siamo spiegati il regime del godimento di Silvio Berlusconi. Mi chiedo a quale cornice simbolica corrisponda la mossa del più giovane e più femminilizzato parlamento della storia italiana che si consegna mani e piedi a un padre raddoppiato, nell’età e nell’incarico, come Giorgio Napolitano, non prima però del duplice parricidio consumato dal gruppo parlamentare del Pd, anch’esso giovane e femminilizzato, impallinando due padri fondatori in ventiquattr’ore. Il disordine simbolico  comincia a essere troppo grande per darsene conto in qualche modo. Salvo che quel raddoppio, che ha tutte le caratteristiche di un rappezzo, non stia lì a confermare che il posto del padre è davvero vuoto, e per questo va riempito, appunto, con la supplica a un padre raddoppiato, come se un eccesso potesse davvero saturare una mancanza.
Nell’ordine costituzionale, invece, le cose sono più semplici e più chiare. Una ridicola schiera di colonnelli pdini dell’ordine ricostituito si è speso davanti alle telecamere, nelle ore successive al voto che aveva reincoronato Re Giorgio, per avocare al loro partito suicidatosi il giorno prima il merito di essere risorto il giorno dopo e di aver pure ”ricomposto una difficile e pericolosa crisi istituzionale”.  Un’altra schiera di costituzionalisti si affanna adesso a dire che tutto è regolare, assolutamente regolare, e che l’irregolarità sta casomai nelle parlamentarie e nelle candidature alla presidenza della Repubblica fatte via web. Ma tutti noi sappiamo, e tutti loro non possono non sapere, che ciò che chiamiamo la nostra democrazia vive da diciotto mesi in qualcosa di molto simile a uno stato d’eccezione permanente, cominciato con la nomina di Mario Monti a presidente del consiglio nel novembre 2011, confermato col mancato rinvio alle camere di Mario Monti dimissionario dalla presidenza del consiglio nel dicembre 2012 e riconfermato con la sospensione della formazione del governo e con la nomina suppletiva dei dieci saggi poche settimane fa. Sappiamo anche, e loro non possono non sapere, che due governi del presidente consecutivi e l’inedito assoluto del raddoppio del settennato di Napolitano configurano di fatto un presidenzialismo privo dei contrappesi del sistema americano e di quello francese, che assomiglia parecchio, se non fosse ridicolo dirlo, a una monarchia. Lo sanno tanto bene, loro, che già si affannano a stilare la madre di tutte le riforme che il prossimo governo dovrà fare: non la riforma elettorale, che tanto può aspettare, ma la riforma presidenzialista, in modo che almeno il nome corrisponda alla cosa.
L’ordine politico però sta a metà e pencola fra (dis)ordine simbolico e (dis)ordine costituzionale, e si vede dallo stato in cui versa. Una terza schiera si scalda già ai bordi del campo, per puntualizzare che la consegna a re Giorgio II non implica nessuna pacificazione: Bindi contro Letta, Marini contro Renzi e contro tutti, altri pdini illusi (in mala fede) che l’incoronamento non porti di per sé al governissimo, il corteo dei berlusconiani, diventati improvvisamente uomini di stato armati contro il populismo eversivo di Grillo e dimentichi del populismo eversivo del Cavaliere, che scommettono sulla restituzione dell’Imu, le misere guarnigioni del Professor Monti, improvvisamente ringalluzzite, che ritirano fuori dall’armamentario della campagna elettorale l’unione dei riformisti perbene contro l’intrusione permale di Vendola. Come se niente fosse successo: potenza della coazione a ripetere.
La stessa coazione che muove i passi sicuri del re. Che tramite i suoi quirinalisti di fiducia fa sapere che ora non si scherza: niente elezioni all’orizzonte, e ”un governo non precario, pienamente politico, forte e vero, di salvezza nazionale, per il quale vuole carta bianca”. Quando era ancora Giorgio I, pochi giorni fa, commemorando il suo amico Gerardo Chiaromonte il re aveva già detto chiaro e tondo che per risolvere la crisi di oggi altra strada non c’era che questa: salvezza nazionale, unità nazionale, larghe intese. La sua coazione a ripetere sta in questa giaculatoria. Noi che abbiamo la fortuna di ricordare come andò nel biennio ’76-’78 sappiamo che significa una cosa sola, questa. Quando di fronte a una crisi sociale che non vuole vedere e all’irruzione di linguaggi alieni che non vuole capire un sistema politico si irrigidisce e si arrocca su se stesso, fino ad espungere perfino un uomo come Stefano Rodotà reo di dialogo con quei linguaggi alieni, quel sistema politico è destinato a spezzarsi. C’è da sperare,  stavolta, senza le tragedie e le vittime sacrificali che chiusero quella stagione allora.
o forse questo raddoppio è solo la vittoria definitiva del doppio mediatico e la sostituzione compiuta della rappresentanza con la rappresentazione? se fosse così, avrebbe ancora senso parlare di democrazia per questo stato di cose?
Gianluca
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non credo che sia il doppio mediatico. il doppio mediatico, stavolta, ha funzionato nel senso dello scompaginamento, non del raddoppio. i.
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errare humanum est, perseverare diabolicum…….
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L’ha ribloggato su Amolanoia.
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I giovani turchi d’accordo con D’Alema e Renzi per far fuori Bersani. Fassina e Orfini che si affannano a spiegare che Napolitano-bis non vuol dire governo di larghe intese. Lo ha spiegato bene Re Giorgio cosa ha voluto dire rielegggerlo. Che pena. Meno male che questo è il nuovo che avanza… Pur di prendersi il partito passano sul cadavere dei padri, della sinistra, del paese. Questa situazione è il frutto avvelenato delle primarie mal digerite ma niente giustifica questa miopia criminale
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…non ti ricorda niente, tiziana? bacio, i.
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E’ impressionante, esattamente la stessa cosa. Da sabato ho questa similitudine in testa che mi fa star male
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Cara Ida, si questo sia l’intervento che hai scritto venerdì (“Come finisce un partito”) mi paiono molto centrati. Si sta diffondendo sempre più – forse anche a causa di quella commistione di pubblico e privato, e di confusione di registri provocato dall’esplosione sulla scena politica dei social network – una spiegazione dello “showdown da incubo” del PD in parlamento settimana scorsa in termini puramente personalistici. Non tanto per il consueto calcio dell’asino che tutti sono pronti a dare a Bersani oggi, quanto per le continue spiegazioni caratteriali, soggettive, persino gossippare che vengono di volta in volta proposte. La figure di D’Alema, Renzi, Bindi prese da pungiball per insulti e spiegazioni da capro espiatorio. Indicano non soltanto quanto sia penetrata a sinistra l’ideologia anti-casta dei 5stelle ma anche a che livello di analfabetismo politico e di confusione generale siamo arrivati. L’hai spiegato bene tu nel pezzo mettendo da parte gli elementi contingenti per vedere la storia di medio periodo degli ultimi anni: il PD non ha mai risolto il rapporto tra la propria vocazione social-democratica e quella liberale incarnata non a caso da due gruppi dirigenti diversi che negli anni si sono guardati in cagnesco (Berlusconi rappresenta il nemico unificante così come il suo contraltare Prodi che infatti viene tirato fuori nel momento di panico). Se ci pensi, l’assenza assordante di dibattito culturale all’interno del PD si spiega anche in questo modo: non c’è *mai* stato modo di pensare seriamente e intellettualmente a come far stare insieme la cultura liberale e quella social-democratica per il semplice fatto che queste due culture insieme non ci possono stare. Il PD che flirta con Calearo, la Cisl, e gli industriali e nello stesso tempo è azionista di maggioranza della CGIL rende bene l’idea. E lo si capisce anche con l’assoluta assenza di pensiero: non solo e non tanto per la mancanza di figure intellettuali e di dibattito culturale (eccezioni trash sono le figure tipo la Marzano) ma anche perché il PD è sempre stato incapace di produrre un pensiero proprio (lo fa molto di più la destra in Italia che infatti ha egemonizzato tutti i dibattiti culturali sui quali a sinistra stiamo *sempre* sulla difensiva… questione femminile inclusa). Ma forse un dibattito intellettuale fuori dai denti era di fatto incompatibile nel momento in cui ti devi inventare un ossimoro politico come era ed è il PD. Persino Cacciari che pure ha sempre spinto per farlo andare nella direzione liberale l’aveva capito che così non si poteva andare avanti. Dare la colpa dei 101 franchi tiratori a Bersani, D’Alema, Renzi o ai 101 franchi tiratori stessi rischia di vedere il dito e non la luna.
Preciserei invece quello che dici su Napolitano come raddoppio della figura paterna nel momento di massimo dis-ordine simbolico. Forse è pure peggio. A Napolitano come figura paterna autorevole non ci crede più nessuno. Ormai sta funzionando da feticcio, tecnicamente inteso: permette tramite la sua figura (per altro un corpo quasi morente) di protrarre la non-risoluzione della situazione. Napolitano permettere di credere, in senso religioso, in un mondo che non c’è più ma che attraverso la sua figura continua miracolosamente, e per altro pure un po’ malamente, a stare insieme. Il progetto politico inconsistente del PD, l’ansia del populismo grillino con il suo tasso di rancore ma soprattutto le macerie della crisi economica che ormai stanno devastando a tutti i livelli soggettivi e collettivi riescono per un momento a rendersi invisibili. La mancanza di soggetti collettivi organizzati e la poca incisività politica grillina (inversamente proporzionale ai toni) rende di fatto questo processo possibile. Anche se è davvero incredibile.
Vendola si è mosso bene invece, non tanto nel dettaglio della cronaca parlamentare, quanto nella strategia di fondo: insistere nel tentativo di creare una forza socialdemocratica che punti a un economia redistributiva e che rilanci l’azione sindacale (non è molto, ma è qualcosa per rendere possibili spazi di agibilità politica ed economica) sta nella realtà delle cose. E’ la risposta più sensata alla crisi anche se quella che è meno immediata a cui dare fiducia. Secondo me però quest’opzione non può limitarsi al movimentismo spappolato (persino nella versione “alta” di Zuccoti Park o della Spagna) ma ha bisogno di un soggetto collettivo. Evidentemente rinnovato ma sempre e comunque di un soggetto (che faccia formazione, che produca quadri, che organizzi un dibattito culturale degno di questo nome etc.). Per questo c’è bisogno di costruire qualcosa a sinistra che però raccolga l’intera cultura social-democratica del PD, altrimenti ridiventa in men che non si dica ghetto, con tutti i tic del caso.
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CAro Pietro, grazie mille, concordo su tutto. Anche sull’ultima parte. La ricostruzione di un soggetto politico è diventata urgentissima, a patto che sia un soggetto che abbia una cultura e sappia fare battaglia culturale. Che è la cosa di cui il Pd è da sempre privo, anzi orgogliosamente privo, essendo nato col programma di liberarsi di tutte le culture politiche da cui proveniva. Del resto non è solo il Pd a fare orrore da questo punto di vista: è tutta la nostra classe dirigente. Anche per questo, temo, il dibattito politico è così isterico: perché non ha più né sponde, né riferimenti, né argini culturali. Credo che un atto di responsabilità si imponga, a questo punto, anche da parte di quelli come noi: dobbiamo imporre questo tema della cultura politica con forza. Pensiamoci. i.
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Pingback: non è un segreto di stato | Sud De-Genere
Non mi capita mai di fare commenti sui blog che leggo, ma in questo caso faccio un’eccezione, perché il blog merita davvero e voglio scriverlo a chiare lettere.
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grazie!
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