Her, la favola post-umana di Spike Jonze

Her, lei, non soggetto, she, ma complemento oggetto. O genitivo? Fin dal titolo il film di Spike Jonze presentato al Festival del cinema di Roma ci mette sull’avviso: si tratterà di una relazione d’amore fra un soggetto uomo – he, un magnifico Joaquin Phoenix, – e un oggetto-donna, her, corpo assente e fantasmatizzato, voce avvolgente di un’altrettanto magnifica Scarlett Johansson.

Eppure fin dal titolo il film, contemporaneamente, ci spiazza: che tipo di oggetto denota quello her? Che cosa c’è dietro quel pro-nome, o chi si consegna a quel genitivo? Her, che in tempi di fine del patriarcato e del patronimico un nome se lo dà da sé battezzandosi Samantha ”perché suona bene”, è una post-human woman, voce, cervello e cuore sintetici partoriti da un sistema operativo che a domanda rispondono con perfetta e velocissima efficienza. Ti metti la cuffia in un orecchio, la chiami e lei ti soccorre in tutto e per tutto, dal cestinamento delle mail inutili accumulate nel computer al bisogno di sesso, amore e tenerezza. Theodore, che si guadagna brillantemente da vivere scrivendo su commissione intense lettere d’auguri, d’amore e di lutto per chi l’intensità dei sentimenti non sa scriverla perché non sa più viverla, decide di sperimentare la creatura artificiale sul bordo di una depressione dovuta alla separazione dall’ex moglie, un rapporto andato a male in cui tutto era difficile e dal quale non riesce a uscire perché, come a molti uomini capita, non è mai riuscito a entrarci davvero.

Prova dunque con Samantha e tutto diventa facile, perché lei, her, di lui intuisce, capisce, previene e promuove ogni esigenza, ogni desiderio, ogni paura, ogni senso e ogni talento. Segretaria, sorella, moglie, amante, couch, her gli sta a fianco come un angelo custode e come per magia ne allegerisce i movimenti, il sorriso, la vita; non ha corpo ma che c’è di più corporeo e sensuale della voce? – , ma di Theodore accarezza, risveglia e ricarica la pelle, le sensazioni, il sesso. La metafora sembra trasparente: Theodore se ne innamora, perché che cosa c’è di più facile, per un uomo, che innamorarsi di una donna-oggetto, di un essere sintetico e finto che gli risponde e gli corrisponde in tutto e per tutto senza chiedergli conto di nulla?

Invece di trasparente, in her, non c’è niente, perché in quell’estremo occidente che è Los Angeles, dove tutto era fake già cento anni fa figuriamoci oggi, sul confine fra reale e virtuale può accadere di tutto, dato che reale e virtuale si confondono davvero. Sì che in una vita reale sempre più rarefatta e incorporea, dove i sensi e il piacere sembrano essere catturati solo dalla bellezza maniacale delle architetture e degli arredi minimal, può accadere che sia proprio una creatura virtuale a risvegliarli. In una impotenza relazionale sempre più diffusa e rassegnata, dove il corpo sembra essere diventato un ostacolo insormontabile alla messa in gioco di sé, può accadere che sia proprio l’assenza del corpo a sbloccarla – tanto che quando her, che in fondo di un corpo sente la mancanza, prova a prenderne a prestito uno ingaggiando un suo doppio reale, le cose con Theodore non funzionano più. In una società dell’immagine, in cui tutto sembra essere a disposizione dell’occhio e del portafogli, può accadere che sia un proprio un fantasma invisibile a rimettere in moto l’immaginario sessuale e sentimentale, fino a invertire il gioco del soggetto e dell’oggetto, sì che Theodore che credeva di poter possedere Samantha on demand ne diventa posseduto, her, suo.

Non donna-oggetto ma oggetto d’investimento fantasmatico è dunque her, e la sua virtualità non fa che portare alla luce la realtà delle nostre relazioni: è sempre con un fantasma che abbiamo a che fare, e che sia reale o virtuale poco importa, se ha il potere di risvegliarci alla vita e al desiderio e di aprirci al cambiamento di noi stessi e alla differenza dell’altro/a. E’ il senso umano, anzi coraggiosamente e spudoratamente neo-umanistico, della favola post-umana di Jonze.

Informazioni su Ida Dominijanni

Giornalista e ricercatrice indipendente
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