Paris decadence. La profezia di Houellebecq

Pubblicato su Huffington Post il 22/2/2015

Francis ha 44 anni, un aspetto ancora giovane su un’anima molto fané, vive da solo nel quartiere cinese di Parigi, mangia cibi fusion precotti e scaldati nel microonde, non si muove quasi mai dalla capitale anche se possiede una Wolkswagen potente e scarpe americane high tech comprate per il trekking. Studia Huysmans, iniziatore del decadentismo francese, cui ha dedicato una tesi di dottorato lunga settecento pagine che continua ad alimentare il suo narcisismo intellettuale; e come tutti quelli cui l’accademia consente di fare carriera studiando un solo autore, vi si identifica fino a confondere la propria vita con la sua. Insegna alla Sorbona malvolentieri – si concede beato lui solo il mercoledì -, e i suoi corsi sono più che altro un’occasione per rimorchiare studentesse, ogni anno secondo lo stesso modulo: una minigonna gli fa girare la testa, seguono seduzione coperta dall’aura professorale e relazione sessuale rigorosamente a base di pompini, senza impegno né coinvolgimento emotivo.

Registra senza un palpito la morte della madre e del padre (separati), esclude il matrimonio ma insieme lo vagheggia come un’assicurazione per la vecchiaia, non ha amici (“a cosa servono, a pensarci bene?”), non ha passione politica (“mi sentivo politicizzato quanto un asciugamano”), detesta cordialmente i suoi simili (“l’umanità non mi interessava, anzi mi disgustava”). Insomma un tipaccio: se lo conosci lo eviti, come diceva anni fa una pubblicità contro l’Aids. E difatti le studentesse rimorchiate lo mollano regolarmente, e sanamente, appena se ne vanno in vacanza: «ho incontrato qualcuno», gli comunicano, arrivederci e care cose.

C’è da chiedersi perché allora un tipo così, ovvero il protagonista del fortunato “Sottomissione” di Michel Houellebecq, riesca a fare di questo romanzo un best seller europeo, senza che nessuno lo molli con la stessa irriverente franchezza delle ragazze in questione. Si dirà che tanta fortuna si deve non al personaggio ma alla profezia di cui Hoeuellebecq, attraverso di lui, si fa portatore: una Francia democraticamente conquistata, da qui al 2020, dalla Fratellanza musulmana, partito islamico moderato che si installa al governo tramite regolari elezioni sulle macerie dei valori repubblicani. Ma si sa che una profezia non è mai separabile dal profeta che la annuncia, come un sogno dal sognatore o una fantasia da chi la concepisce. Impossibile, dunque, separare la profezia di una Francia e di un’Europa addomesticate dall’Islam da come e perché il nostro Francis, e Houellebecq tramite lui, se la inventa.

La profezia, va detto, è ben congegnata. Spostando il fuoco dall’ossessione per la minaccia terrorista esterna alla possibilità che la crisi della democrazia francese generi dal suo interno le condizioni per la vittoria di una leadership islamica moderata, Houellebecq introduce nell’immaginario politico occidentale l’ipotesi nient’affatto peregrina che non sia il fanatismo fondamentalista, ma l’usurata e devitalizzata normalità laica ad aprire la strada a un radicale cambio di civiltà. Tutto, dall’alternanza destra-sinistra allo snobismo degli accademici, dalla supponenza dei giornalisti agli scontri nelle periferie, sembra scorrere normalmente e stancamente in una Francia già in parte consegnata, nel 2017, all’irresistibile ascesa del Fronte Nazionale di Marina Le Pen, e agitata da una sorta di guerra civile strisciante fra gruppi “indigeni” di estrema destra da un lato e gruppi di immigrati islamici radicali dall’altro: due facce della stessa medaglia identitaria, separate dalla linea del conflitto razziale e religioso.

Finché l’imprevisto irrompe e si impone alle presidenziali del 2020 nella persona di Mohamed Ben Abbas, che con un misto di realismo politico e idealismo strategico riesce nel duplice scopo di mandare in soffitta una democrazia dell’alternanza ridotta a “spartizione del potere fra due gang rivali” e di fornire una prospettiva valoriale a una società distrutta dal disincanto. Non una rivoluzione anticapitalistica ma un sistema produttivo compatibile con l’autoimprenditorialità neoliberale; non un regime religioso ma un compromesso per la coesistenza fra i tre monoteismi, sia pure con un netto vantaggio per la scuola e l’università islamiche lautamente finanziate dagli sceicchi del Golfo; non una dittatura politica ma un’alleanza di governo con ciò che resta del partito socialista e dell’Ump. E in compenso, tre assi culturali lungimiranti: un neo-umanesimo islamico contro l’umanesimo cristiano e le sue riduttive versioni politiche novecentesche, quella comunista e quella liberale; il disegno di un’Europa a guida franco-islamica, col baricentro spostato dalla Germania al Mediterraneo e con le ambizioni di un nuovo impero romano (antiamericano); e infine ma non ultimo, la restaurazione della famiglia e del patriarcato.

Ed è qui che la profezia del futuro si rivela indissolubile dallo sguardo del suo profeta sul presente, dove la diagnosi lucida sulla crisi della democrazia si mescola a un nietzschianesimo da bancarella, a un decadentismo di maniera trasferito dai primi del Novecento a oggi (l’Europa che un secolo fa perde “la memoria delle pratiche sessuali della Bella Epoque” per dare la stura al nichilismo è la stessa che nel 2013 si suicida chiudendo l’Hotel Metropole di Bruxelles, capolavoro dell’Art Noveau), a una ripetizione autoassolutoria del salmo sul tramonto dell’Occidente che legittima la dismissione di qualunque responsabilità, nonché la soluzione opportunistica, che Francis matura rapidamente, della conversione alla religione vincente.

Nella notte della democrazia tutte le vacche sono grigie, e la garanzia di poter continuare a lavorare in una Sorbona islamizzata, di un ottimo stipendio e di una terza età assistita da tre mogli vale bene un giudizio tanto definitivo quanto approssimativo sul tracollo della civiltà europea: “Giunta a un livello di decomposizione ripugnante, l’Europa non era più in grado di salvare se stessa”, dunque si salvi chi può e come può: non ci sarà “niente da rimpiangere”, e anzi ci sarà da guadagnare la realizzazione di un sogno. Quale, sarebbe facile intuirlo se non fosse scritto a chiarissime lettere: l’antico e sempre ritornante sogno di un uomo occidentale terrorizzato dalla libertà femminile, disporre di una corte di donne sottomesse – senza neanche la fatica di scegliersele, visto che la nuova burocrazia islamica affida alle mezzane la pratica di combinare i matrimoni – e per giunta ben più seduttive delle indaffarate donne in carriera europee. Infatti se di giorno si velano, di sera le islamiche si trasformano “in uccelli del paradiso, si agghindano con guepière, reggiseni trasparenti, perizomi ornati di pizzi policromi e gemme; al contrario delle occidentali che, raffinate e sexy durante il giorno, tornando a casa la sera si afflosciano indossando tenute comode e informi”.

La profezia di Francis-Houellebecq si rivela così per quello che è, una fantasia: la fantasia, dichiarata, di un ritorno al patriarcato fuori tempo massimo. Farebbe sorridere, se non fosse per la totale mancanza di ironia e autoironia dell’autore, nonché per il silenzio stupefacente, ed evidentemente complice, che in molte recensioni del libro, maschili ma anche femminili, sorvola sul punto in questione. Che pure è l’architrave del romanzo, come l’immaginario sessuale dell’autore ne è la cucitura. L’architrave, fin dal titolo: “C’è un rapporto fra la sottomissione della donna all’uomo come la descrive ‘Histoire d’O’ e la sottomissione dell’uomo a Dio come la contempla l’islam”. La cucitura, capitolo per capitolo: l’adorazione di Francis per il suo unico vero dio che non è Allah ma il suo organo sessuale, la classificazione delle donne in manichini in minigonna, prostitute in tanga o “superfici di carne smagrita, rinsecchita, moscia e cadente”, la loro valutazione in base al know-how che dimostrano nelle pratiche erotiche a lui più gradite, la riduzione della loro libertà a disponibilità sessuale sono le vere ossessioni del protagonista e dello scrittore. Il resto ne discende, compresa la decadenza europea: con la fine del patriarcato si fanno meno figli e senza saldo demografico in attivo le civiltà vanno in default, altro che debito pubblico.

Ben costruita e benissimo supportata dal lancio su Charlie Hebdo poche ore prima della strage del 7 gennaio, l’operazione di Houellebecq ha il solo e involontario merito di rovesciare la retorica guerrafondaia occidentale fondata sulla favola della “liberazione delle donne dal patriarcato islamico” mostrandone il rovescio fantasmatico inconfessabile, ovvero l’invidia dei “nostri” uomini per i loro nemici “esotici” e per la sottomissione femminile di cui essi, secondo uno stereotipo che peraltro fa torto al variegato mondo femminile islamico, sono supposti godere. All’indomani dell’11 settembre, quando questa retorica impazzava – anche qui da noi, in Italia e in Europa; e anche sulle testate di sinistra e a firma di radicalissimi intellettuali di sinistra – per legittimare la guerra in Afghanistan, fu premura del femminismo internazionale, americano, europeo e islamico, smontare la favola e mostrare il fantasma, ovvero le segrete simmetrie che intercorrono fra patriarcato islamico e patriarcato cristiano, fra la misoginia evidente dei nuovi fondamentalismi e la misoginia nascosta della tradizione politica occidentale, fra l’ingiunzione a coprirsi e l’ingiunzione a mostrarsi indirizzate alle donne dalla religione del Corano e dalla religione del mercato.

Come di tutto l’enorme dibattito successivo al crollo delle Torri gemelle, anche di questo cruciale tassello il dibattito europeo di oggi sembra aver perso completamente memoria; e deve averla effettivamente persa, se premia tanto generosamente un romanzo misogino come “Sottomissione”. E sì che in Europa, nel frattempo, le prove che la fine del patriarcato genera mostri di ritorno, ma che questi mostri sono destinati a un’inevitabile sconfitta, non sono mancate: l’abbiamo ben visto in Italia, con le prove fallite di restaurazione patriarcale tramite bunga bunga in quel di Arcore. Come la mascherata berlusconiana, anche la fantasia di Houellebecq è destinata a non realizzarsi: non c’è nessuna sottomissione in pizzi policromi all’orizzonte. Le studentesse di Francis lo sapevano, quando se ne andavano al mare lasciandolo solo con le sue ossessioni e i suoi deprimenti pranzi precotti rimediati al supermercato cinese.

 

Informazioni su Ida Dominijanni

Giornalista e ricercatrice indipendente
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